Com’erano queste mattine
scricchiolanti di gelo,
l’odore delle stalle, i campi in riposo
e tu a cucire, a stufa quasi spenta?
Erano davvero diverse da adesso,
quando mi fermo sotto la foto
e respiro piano, e attendo
e il dolore arriva bianco a chiudermi gli occhi?
Ma come ho potuto
temerti
evitarti
rinunciare al sole tra le foglie di quel giardino
non entrare in quella libreria dove prima amavo sostare
schivare i ricordi come sassate
annacquare i colori
odiare il postino.
Poi un giorno in mezzo alla piazza
un volo di piccioni mi ha come attraversato
e i sensi di colpa si sono accartocciati, bruciati,
ed erano fiamme allegre, quelle.
Watching an upturned leaf
makes green a different thing
turns this Autumn
into a sumptuous Spring.
You draw a lightning
then sing a thunder
and wait for the rain to come
on the stream of consciousness.
A gull crying from above the roof,
a frog calling from the nearby river.
A strand of mad white
clouding the summer blue.
Fin tanto che l’onda dove sei nata ti cullerà,
non desiderare mai di avere un’anima, certo no,
perché un’anima è il peccato.
Come molte sorelle, non necessariamente acquatiche ma certo dotate di poteri misteriosi, le rusalke sono bianche e verdi. Il bianco è della pelle che si scorge appena, il verde è dei lunghi capelli, gemelli inquietanti delle alghe che si snodano piano sul fondo dei fossi, nelle lanche dei fiumi, al bordo degli stagni: colori, questi, caratteristici delle donne magiche e ambigue che percorrono le storie dell’infanzia e la storia del mondo.
E’ molto raro che le fate e le sirene indossino gioielli e, se vestono abiti, sono quasi sempre bianchi o verdi. (Qualcuno dice che le rusalke vestano lunghe gonne di colore verde, solo la domenica di Pasqua.) Continue Reading »
Forse dovrei davvero tacere per sempre. C’è un tale pieno di voci, intorno. Avvertirei la perdita della mia?
La preparazione è lenta, una sfida a sottrarre. Non ho fretta. Mi abituerò al silenzio.
Mi accosto all’immobilità dei sassi spostando ad uno ad uno i fili d’erba.
Caro Jannacci, se anche tu avessi scritto questa soltanto, sarebbe comunque impossibile dimenticarti.
Fermi a un passaggio a livello
mi hai parlato di te in un tono che io non conoscevo.
Piano mi hai sfiorato la mano, sussurrato parole dimenticate.
Ma in un baleno è schizzato via il treno
abbiam smesso di guardarci – poi mi hai chiesto se era un merci.
“Torna a parlare di te, a parlare del cuore, delle cose dimenticate”
“No”
mi hai guardato ridendo, sei rimasta lì, muta, muta come t’ho conosciuta.
Qui si sta
dietro al telaio
le mani sulla trama
senza distrazione
in luogo incerto
tra esistente e pensato.
I fili chiamano, chiedono.
Questo abbiamo, e una fiamma che brucia.
Da bambina pensavo
“Le dedicherò questo, le dedicherò quello”,
immaginavo un libro su un giardino,
con margherite e rose parlanti.
Ora restano libri mai scritti,
e pianti improvvisi,
talvolta il pettine che mi regalasti.
Ci ho ripensato:
non posso, davvero non posso
riporre l’amore che ancora ti devo,
il bene che ancora ti voglio.