GLI DEI DI CARTA – CHUANGGONG E CHUANGMU (I GUARDIANI DELL’ALCOVA)

chuanggongchuangmu474Guardiani dell’alcova, Chuanggong e Chuangmu dimorano sulla parete della camera degli sposi, sulla testata del letto; d’inverno godono del tepore della stufa.

Siedono a tavola e spesso rosse candele brillano davanti a loro, nelle coppe le bevande predilette: lei preferisce il vino, lui beve il thé.

Sorridono complici agli sposi e offrono loro una presenza discreta, senza invadenza. La loro immagine viene collocata in camera da letto al momento del matrimonio: solo le persone sposate possono venerarli.

Voi, sposi, conviene che li osserviate, che attendiate il loro cenno amabile, quando desiderate un figlio, quando dovete far pace.

Che il vostro sorriso sia la risposta al loro brindisi.

GLI DEI DI CARTA – SANGU NIANGNIANG (LA SIGNORA DEI VATICINI)

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Gli dei sono stati clementi con la misera Sangu, moglie secondaria uccisa dalla Prima Consorte che la fece cadere nella latrina. E’ infatti diventata uno degli spiriti tutelari della casa.

Ma è anche la signora dei vaticini, quando fra ragazze ci si trova e si desidera conoscere il futuro. Prendete il grande mestolo, il cucchiaio liscio diventa il volto di Sangu; il manico, lo vestirete con un pezzo di stoffa e le darete un corpo. Con rami di salice foggerete braccia esili, maniche fluenti.

Le farete un’offerta nel 15° giorno della prima luna.

Invocatela. Una di voi si lasci possedere dallo spirito di Sangu, che nella trance risponderà a domande su amore, futuro, desideri e paure. E’ una signora modesta da interrogare con semplicità.

Tuttavia, osservate le sue vesti di sciamana, le maniche ampie che palpitano nella danza come ali, il Drago del Nord che le volteggia sul capo, e imparate ad averne timore e rispetto.

(Gli uomini lo sanno, bisogna aver sempre timore di quel che le donne fanno fra di loro, quando gli uomini non le vedono.)

GLI DEI DI CARTA – ZISUN NIANGNIANG (LA SIGNORA DELLA DISCENDENZA)

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Zisun Niangniang ti osserva stando in mezzo alle sue ancelle; a volte tiene un bambino fra le braccia e sorride appena, benevola ma non radiosa. Il suo copricapo di fronde e d’uccelli è fastoso e le sue vesti ricadono ampie, puoi indovinarne le geometrie brillanti di colore. Credi in lei e ti porterà figli e nipoti; tu lo sai, devi astenerti dalla carne, essere monda e purificata dall’attesa. Intreccia fili di vari colori; rècati al suo tempio, invocala,  scegli un figlio tra quelli sani e perfetti, di porcellana bianca e rosea, che stanno ai suoi piedi. Inchìnati tre volte, stringendo i bastoncini d’incenso. E’ lei che decide a quale famiglia destinare i nascituri.

Io l’ho vista anche seduta sui loti, con lunghe ciocche di capelli e volute di fiori intorno a lei; tiene un talismano tra le mani raccolte sul petto e ha gli occhi semichiusi; sembra sorridere rivolta a se stessa ma è te che guarda complice, donna come lei. Di lei e delle sue sorelle ti puoi fidare, tieni la sua immagine vicina, dove la puoi osservare nei tuoi giorni, nella tua casa.

N.6

Il nome è un talismano,

è la forma immateriale dell’amore,

costante, sorridente.

Lo senti vibrare

anche quando non lo pronunci,

quando solo lo pensi insieme a una carezza.

Impresso per sempre

nella materia del sogno,

nello splendore del mezzogiorno,

nel nome

vinci le sventure,

scosti le tende sulle buone giornate.

DENTRO IL GIARDINO

Tutto è semplice, dentro il giardino:

le risposte immediate come cogliere un frutto

(e col medesimo suono schioccante),

le domande gradite come un passo nell’erba,

la pioggia è occasione di nuove delizie,

il buio, un momento per sospendersi su un lago di stelle.

Non sono mai sola,

osservando il melograno.

Vita, anzi opere

I dipinti di Dante Gabriel Rossetti smuovono in me un fondo di irritazione; ho da sempre l’impressione che chi ritrae donne di bellezza perfetta nasconda una profonda misoginia, paludando d’ammirazione pretese odiose: il disconoscimento di un’anima, la riduzione dell’essere femminile a oggetto posseduto, il cui unico privilegio è quello di essere contemplato – e collocato ove si voglia. Le modelle di questi pittori non sono certo dee eternate nell’esercizio della loro gloria, ma riflessi della loro ambizione, così come le modelle di oggi sono puri manichini che indossano risibili opere d’arte – gli abiti – che altri hanno fatto, che esse esibiscono a vantaggio dello stilista. Anche l’ipocrisia è la medesima: in entrambi i casi artisti e stilisti sostengono, implicitamente ed esplicitamente, di voler rendere le donne più belle, migliori, di voler rendere loro omaggio. Continue Reading »

Pan a mezzogiorno

Ci vuole una buona dose di follia per sospendere il tempo: forse per questo Pan è dio del mezzogiorno, fra le altre cose; è il dio dell’abbandono totale ai propri sensi (dio dello stupro, in qualche interpretazione a latere…è con un brivido di orrore che si riconosce l’ombra dell’egoismo più terribile in Pan), dio dell’improvvisazione musicale come improvvisato è il suo flauto, fatto di cera e della carne, mutata in canne, di una donna desiderata, Siringa; dio della dissoluzione, per quanto temporanea, della propria personalità nell’universo circostante, che si tratti di sonno o di estasi erotica.

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semplificare ridurre e meglio vedere

Penso ultimamente, intensamente, alla semplificazione, intesa come riduzione di linee e di colori, come concentrazione, essenzialità del gesto. Ho pensato alla calligrafia cinese, squisita unità, quando ben riuscita, di tempo, atto e parola.

Una buona calligrafia richiede spesso pochi istanti per la realizzazione e infinito talento, infinita riflessione e costante pratica. E’, nero su bianco, la necessità oggettiva di quella parola e di quel gesto. E’ una semplificazione di linee che non implica rinunce e non provoca, al contempo, alcuna dispersione.

I colori, che mi incantano in natura, spesso mi disturbano quando riprodotti; in egual misura sono infastidita dai profumi in flacone, mentre l’odore del biancospino a fine inverno, o la  magnolia a giugno, o gli aghi di pino  caduti hanno un incanto immortale. In questo ho certamente dei limiti (vedere il mondo in bianco e nero, attendere il caprifoglio in certe sere mi sembrano una forma di monogamia: che sia legata, la mia visione dei colori e degli odori, alla mia visione dei sentimenti?).

Credo che la necessità di dover concentrare l’atto della scrittura, rispetto all’infinità dei momenti di riflessione (andando e tornando dal lavoro, attendendo al ragù, immersa nella vasca da bagno, prima di dormire e appena sveglia…) abbia un effetto esilarante duraturo e pervasivo. Spesso si scrivono in pochi minuti cose pensate per mesi e in qualche caso anni – e dovono trascorrere ancora molti mesi prima che si possa giudicare il risultato, se mai questo è possibile. La distillazione è un procedimento lungo e occorre essere molto attenti a che non venga escluso qualche elemento importante nel corso dell’elaborazione: se si perdesse un profumo? un sapore? un ricordo?

Nell’horror vacui che ci perseguita vedo, d’altro canto, un temibile invasore che,  nonostante gli sforzi strenui per tenerlo oltre le soglie, filtra nella nostra visione e nella nostra capacità espressiva: un barocco malato, note sguaiate ne risultano. Uno degli slogan più frequenti che leggo e che ascolto in questi anni è l’importante è esagerare, dove si intende, suppongo, divertimento, emozioni che si incrociano a crearne di nuove… solo, io credo piuttosto che l’esagerazione non sia divertimento, è spreco piuttosto, un uso malaccorto e colpevole di persone, emozioni, pulsioni, momenti, parole.

Vada dunque per la semplificazione; sogno oggi una visione di linee pure…come diceva Gozzano, seppur in tutt’altro contesto? al modo che un lampo nel fosco disegna il profilo di un bosco coi minimi intrichi dei rami.  Ricordo certe statue greche viste in gioventù ad Atene, i templi di Paestum, le porcellane cinesi a guscio d’uovo, il profilo della Dimora della Nebbia e della Pioggia a Chengde…ecco cosa conta davvero. Profili bianchi, linee contro il cielo, forme perfette in se stesse e nello spazio. Possibile che anche le parole possano raggiungere la stessa perfezione?

Sarebbe più semplice se si potessero scegliere consciamente i propri ricordi. Invece…invece il mondo stilla dentro di noi come pioggia da un lucernario del tetto, seguendo incrinature invisibili sui coppi più vecchi. I ricordi, le ansie, i desideri non sono quelli che vorremmo, spesso: chi di noi è lieto di provare invidia? Chi di ricordare con amore lancinante un abbraccio inaspettato durante un bagno al mare, il movimento accennante delle foglie del pitosforo sulle note di una canzone?

Tutti i ricordi che non sappiamo di avere rendono più impervia la semplificazione, annebbiano il nitore della visione. E’ misteriosa, l’essenza delle cose, non mutevole ma certo fuggitiva. Il che è quasi lo stesso, infine.

RAPIMENTI

Goethe, Yeats, Keats hanno in comune, a parte l’ovvio, il fatto di aver narrato di rapimenti.

Goethe scrisse Il Re degli Elfi (Erlkönig), che lessi per la prima volta nel libro di educazione musicale alle scuole medie e che credo non sarò mai in grado di leggere nell’originale. W. B. Yeats è l’autore di The Stolen Child. Keats scrisse La Belle Dame Sans Merci.

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n.5

Il platano emana aromi più intimi sotto la pioggia.

Stamani cambia la prospettiva dell’autunno e della strada.

Non mi tocca l’espressione inviperita del motociclista in lite,

ha due dimensioni come un manifesto.

Sono fra le braccia di un ricordo

pioveva anche allora,

pioveva argento.