E’ un guizzo, un istante.
E vedo, ventimila leghe in fondo agli occhi,
la forma sdegnosa dissolversi
e la materia, finalmente,
senza suoni o colori,
buona come l’acqua.
L’estremo limite del vero
è rotondo come una biglia,
senza lati da dover scegliere,
senza più scelte da rimediare.
Qui, nel buio luminoso,
un filo impalpabile
si svolge.
Sento il cuore vivo
quasi l’avessi nelle mani.
Provo nuovamente, dopo Raimondin, a mettermi dietro gli occhi dell’altro. L’embrione di questo tentativo risale a molti anni fa.
Io sono il crudele, il perfido; io sono l’assassino. Storpio, detestato e tradito, anche la storia mi ha condannato con un sorriso beffardo e uno sguardo d’orrore. Voi tutti, che percorrete curiosi i camminamenti di quella che fu la mia dimora, confessate che rabbrividite, confessatelo! quando vi si conduce nelle segrete, dove i ceppi pendono ancora dalle pareti, e lungo i corridoi, nelle stanze immobili…confessate che mi odiate, quando entrate nella camera che, vi dicono, fu di lei. Continue Reading »
La musica della luce
è tenue come un respiro
e cade in stille nelle mani
– le tue, le mie.
Beviamone insieme
di quest’acqua di sole
all’invito sincero del cuore
come dire di no?
Mia figlia si nasconde per piangere: vuole salvare la faccia.
Non riconosco la faccia delle clienti che frequentano il negozio dei miei genitori, dopo qualche anno di trattamenti da un mago di iniezioni che esercita nei paraggi, in qualche studio oscuro e lussuosissimo: ma riconosco sempre l’osso affilato del naso come di un teschio, la pelle tesa verso le tempie, il sorriso che ti viene da scansare per paura di inciampare nel labbrone inferiore. Se fosse una legge dello Stato a obbligarle a questo, sarebbe da paragonare all’infibulazione. Continue Reading »
La foglia che trema sull’acqua
– e un brivido tenue di linfa
scintilla si cheta s’oscura –
s’adagia, s’abbandona lieta
e senza timore sorride.
La terra come una tazza
si riempie del liquore del sole,
sazia di luce giace,
e non parla.
Il suo respiro
è la foglia che trema
sulla bocca dell’estate.
Mi pare di aver dato un’impressione sbagliata, recentemente: di essermi limitata a osservare un lato della medaglia e di non sforzarmi mai di guardare allo stesso fatto da due punti di vista. Cerco di ovviare, cominciando con la voce di Raimondin, dopo aver fatto parlare Melusina.
Ho fra le mani la mia rovina e le tue lacrime. Tutto quello che hai detto è vero e onesto e mi trafigge l’anima – e non posso, non voglio morire in silenzio senza neppure tentare di trattenere un lembo della tua veste. Ti bacerò fino a farti dimenticare perché stavi piangendo. Non andartene, Melusina. Continue Reading »
Nascondersi o dire, nascondersi e dire, nascondersi per non dire. Scrivere negli abbaini, nei quaderni più piccoli, scrivere osservando intanto se qualcuno ti osserva.
Scrivere con pudore, arrossire quando ti beccano e chiedono “Che fai? Cosa scrivi?”
Forse sarebbe bene tacere del tutto. Ci sono crostate e panni da stendere senza pensiero che non sia “ci voleva più candeggina”, ci sono stoffe da tagliare, macchine da cucire, pavimenti che invitano sempre una seconda e una terza passata di straccio.
Le piante, poi: orchidee da immergere regolarmente in un bagno d’acqua e specifico concime, cactus da proteggere, il plumbago da potare, prezzemolo da tagliare lavare congelare negli appositi sacchetti ad uso di soffritti invernali.
Non mancano le cose da fare, quelle che non richiedono consapevolezza costante, quelle che si lasciano fare. La coda alla vaccinara è l’ottimo risultato di cinque ore di assenza da sé. Così andrebbe bene, sì.
Ci penso.
Cosa non fanno scrivere i pomeriggi di novembre.