Qui, per sentire la voce di chi ha parlato prima di Polifemo.
A volte il silenzio è davvero insopportabile, in tutto questo buio. Tendo l’orecchio a cogliere il belato di qualche capra che ancora arriva qui, il fremito del vento quando si zittisce, un attimo prima delle tempeste autunnali. I miei poveri animali, rimasti senza cura, senza riparo! E d’altro canto, che se ne farebbero di un pastore cieco?
La ferita ci mise parecchio, a guarire. Ombre di fuoco, lo stesso che mi lambiva il corpo, popolavano il mio sonno.
Il rimpianto della luce, il desiderio di vedere di nuovo mare e cielo, quello non può guarire. Adesso i suoni sono come i colori: così il vento è blu scuro come il mare, il crepitìo dei rami alla sera ha il colore incerto del vello delle mie pecore, a volte con sfumature violette; ma è soprattutto il rosso che rimpiango, il rosso del sangue che sento spesso, in mille momenti, in mille silenzi.
Quello che mi riscalda, qui nel buio, è l’idea della vendetta. So che mio padre non mi deluderà, che renderà impossibile, o almeno molto difficile, il ritorno di Odisseo alla sua casa. Immaginarlo ramingo, solo, affamato, immaginarlo in preda al terrore della morte durante una tempesta di mare…questo mi fa bene.
Se solo l’avessi immaginato, che un essere miserabile come Odisseo covasse tanta astuzia e insolenza. Dovevo mangiarmeli tutti, subito. Ucciderli e affumicarli, farne cagliare il sangue. Questo mi avrebbe conservato alla mia esistenza, così appagante e semplice.
Non ho avuto timore di quel che era così diverso, così piccolo, così lontano da me. Non avevo neppure bisogno di sentirmi invincibile, sapevo di esserlo. Non mi occorreva l’assistenza di amici, non sentivo bisogno di onorare degli dèi. Vivevo discosto dagli altri ciclopi, che ancora oggi solo di rado mi cercano, giusto per vedere se sono ancora vivo. Del resto non so se lo facciano per compassione o per desiderio di schernirmi. Campo di poco, di quel che mi lasciano sulla soglia. Che miserabile accattone sono diventato.
Quanto agli dèi, ne avessi uno fra le mani, lo afferrerei per il collo, ne sfracellerei la testa sulle rocce, tanto per capire fin dove arriva l’immortalità.
Ho provato disprezzo, istintivamente, per Odisseo, che si appellava agli dèi, pretendeva doni in nome loro. Parlava come se dovessi riconoscergli il diritto alla fama e al rispetto. Ma qui non esistono i diritti degli altri, solo una convivenza guardinga con i vicini.
E poi…mi aspettavo, sì, un contendente, un rivale, un essere pericoloso per la mia esistenza, ma credevo sarebbe giunto un uomo almeno grande quanto me! Un essere vigoroso e temibile, con cui combattere corpo a corpo, misurandone la possanza, saggiandone i muscoli. L’avrei riconosciuto e ucciso, un nemico così.
Invece ora sono qui, nella grotta, talvolta in cima alla rupe. Ogni tanto afferro macigni e li scaglio nel mare; spero sempre di provocare il naufragio di qualche imbarcazione. I prossimi uomini che giungeranno su questa terra, i prossimi che avrò fra le mani, non avranno neppure il tempo di pensare a come sfuggirmi. Cieco, sì, ma resto Polifemo.
Era pur buono, quel vino che Odisseo mi offrì. Ne ricordo il gusto chiaramente.
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