Ogni tanto la osservo quando non se ne accorge, quando intreccia una collana di margherite, o quando dorme, come ora.
Non c’è nulla che mi dia più piacere di quest’angolo di fiume nei pomeriggi d’estate. Alice ha appoggiato la testa sulle mie ginocchia e si è addormentata profondamente, di un sonno compatto, e la fronte si fa a poco a poco madida, nel calore avvolgente.
Porta i capelli sciolti sulle spalle, un manto vivo e lieve che ho disposto con cura sulle mie gambe, che scivola fin sull’erba.
Ma quando è stata l’ultima volta che anch’io ho portato i capelli sciolti? Ricordo soltanto che un giorno mia madre ha preso la spazzola e i miei capelli crepitavano al suo passaggio; e con gesti solenni li ha intrecciati e poi ha avvolto le trecce su se stesse e le ha fissate con forcine. Rapita nel mezzo di un gioco, senza preavviso: che l’infanzia finisca così? Il mio volto cambiò all’improvviso; non sono più stata la stessa, dopo quel momento. E guardo i capelli di Alice con rimpianto e indulgenza.
Lei sogna, vive nel presente, nell’attimo.
Per me invece è cominciata l’attesa, e per meglio tollerarla sogno anch’io, ad occhi aperti: consapevole almeno in parte del mondo dietro i miei occhi, tutto sommato non sono certa di desiderare che qualcuno vi penetri. Indugio sulla soglia, incerta tra la bellezza nota di quel che potrei lasciare a breve e l’incantevole ignoto. Vengo qui con Alice per piacere e per dovere (sono la sorella maggiore!), ma anche per paura, per smarrirmi nelle piccole gioie che ben conosco. Osservo il bordo delle foglie e a volte immagino di poter spiccare il volo da quel margine sottile, come un insetto; ricamo senza fretta un’iniziale su una federa, impiego minuti deliziosi a scegliere il colore più adatto per il petalo di una primula che prenderà vita sul foglio di carta. Mi osservo da fuori e mi vedo irresistibile, ruscellante delizia, penso con fierezza e turbamento che qualsiasi uomo cederebbe alla visione di me, con quest’abito fresco, spumoso di trine, mentre ricamo e il sole tra le foglie si muove sulle mie mani…
…Alice mi fa rinsavire e un poco vergognare. Lei non fa nulla per ansia del giudizio altrui, gioca col gatto per puro divertimento, ride senza affettazione, racconta tutto ciò che le passa per la testa senza temere di non essere apprezzata, con una grazia che le invidio, e mi chiedo se io stessa mai l’ho posseduta, quella grazia felice. Sembravo lei, ero lei, soltanto ieri? O quanto tempo fa?
La osservo con avidità, in questi momenti, per fissare questo istante di autentico possesso di sé, questa goccia di miele che per me è già caduta. Ogni tanto ha delle assurde fantasie, mi racconta sogni inverosimili nei quali mi addentro, cercando la strada in un labirinto privo di logica, del quale mi pare di intuire il cuore d’oro. Non ci arriverò mai a quel cuore, non ci arriverò più: ormai sono incapace di tanto abbandono. Dovrei concedermi nuovamente, farmi rapire come lei, ma l’arte del controllo, che esercito ormai con maestria, a sua volta mi possiede totalmente. La fuga delle cose è stordente, felice e per lei è lieto assistervi.
E’ una felicità che non riesco più a sentire ma non posso fare a meno di rimpiangere. Perciò attendo il risveglio della mia piccola sorella con una certa impazienza: cosa mi racconterà questa volta? Serberò nel cuore le sue minute confidenze e quando lei tornerà in casa a prendere il suo thé io resterò qui, a osservare le canne lungo il fiume e l’orizzonte, a modulare il mio respiro perché somigli ancora al suo mentre corre nell’erba, a spostare ancora di qualche istante la fine dell’attesa.