Ho toccato il foulard e mi è parso tiepido delle sue mani
– orecchini spaiati, camicie da notte piegate ancora nei cassetti –
entrando nella stanza ho respirato piano, attendendola,
ma lei non c’era,
è cenere in attesa di collocazione,
un nome da incidere sulla placca di marmo,
una saponetta alla rosa su un ripiano vuoto,
posata anni fa, senza profumo.
Le cose pensano e ricordano.
Le ho ascoltate per capire
se almeno questo l’ha scelto lei,
di non chiamare più nessuno, di lasciar fermare il respiro
chè, tanto, a casa non sarebbe più tornata.
E dunque. Tutto nitido, tutto presentito.
Però io piango lo stesso, piango per me,
e non trovo un luogo
dove riporre l’amore che non dovrò più usare.
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