Rinunziare al mito è arduo; il mito è subdolo e ti accorgi di averlo fatto tuo quando è tardi.
Miti sono: Giacomo Leopardi, James Dean, Pierpaolo Pasolini. Il mito muore giovane (hon oi theoi philousin apothneskei neos) e tutto quel che ha fatto o detto diventa vero, perfetto, incontestabile. E’ buono per tutti, preti e anticlericali (penso a Leopardi, soprattutto), mamme con la carrozzina, giovani punk con una birra in mano, critici cinematografici. La faccenda è un po’ più complessa con Arthur Rimbaud, ma con i paraventi giusti e un’illuminazione adeguata la mitogenesi è stata portata a termine con successo.
Il mito è morto e non può contraddirsi; non può dirti che hai completamente frainteso una sua frase, o che era di pessimo umore quando ha scritto quell’altra cosa che ti sembra perfetta in ogni tempo e luogo. Il mito, se fosse vissuto più a lungo, con ogni probabilità ti avrebbe deluso. Io fatico a immaginarmi Pasolini, reduce dalla propria vita, che si confessa nella chiesa di Padre Pio, ma non lo ritengo impossibile.
I miti sono comodi come una borsa dell’acqua calda, pronti al momento del bisogno con tutta la loro autorevolezza, per sostenerti con i puntelli delle loro frasi migliori. Conosco parecchia gente che incravatta le proprie opinioni facendo continuo ricorso all’auctoritas di qualcun altro. E pensare che le loro opinioni si sosterrebbero benissimo da sole e grondano intelligenza e buon senso – anzi, è proprio l’appello al mito che le priva di valore. Un tempo pensavo che fosse puro sfoggio di cultura, ora credo che sia autentica insicurezza, che si traduce in confortevole abitudine.
La parola mito non si sostituisce, qui, con idolo: l’idolo può essere ancora vivo e crollare nella polvere – dal sublime al ridicolo…-, il mito no: non si dice forse mito vivente, con ossimoro carpiato?
Questa continua etichettatura (mito! mito!) applicata trasversalmente a chiunque, quantunque, come una bella passata di vinavil diluito prima di procedere all’imbiancatura, ha svuotato la parola stessa di significato, di valore, di ruolo. La rettificazione dei nomi di Confucio e Mencio mi torna alla mente: laddove usare il nome giusto, la parola giusta per ogni cosa, per ogni contesto, è fondamentale. Mito è una parola oscura e pericolosa e ne abusiamo costantemente. Fatalmente un giorno si ribellerà.
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