Ieri sera al solito ritrovo del giovedì, al solito stammtisch arriva anche G.
G. non lo conosco tanto ma quel che so di lui mi piace; è una persona gradevole, amichevole, sorridente, di buon umorismo, di conversazione stimolante. Non si mette mai sotto i riflettori e talvolta scompare nei rumori di fondo, ma c’è nell’uomo molto più di quel che si può scorgere ad una prima occhiata.
Ieri sera all’improvviso osserva senza battere ciglio che io sono un’iconoclasta. Verissimo, penso, e glielo dico, ma mi stupisco, al contempo, che abbia potuto cogliere senza fallo questa mia caratteristica. Mi risponde che è invece evidente, si vede, si capisce, e lo dice col tono pratico di chi potrebbe snocciolare esempi a iosa. E io ammutolisco e cambio colore, perché in quell’istante mi balena il pensiero che sia passato di qui, dal giardino, e che non lo dica per discrezione (ho già sperimentato che è uomo di ammirevole discrezione).
Sarò scema o no? Certo che sì e per i motivi più svariati: intanto immaginare che abbia scovato questo luogo, poi pensare che abbia provato sufficiente curiosità da leggere, e infine provare il timore della scoperta. Perché diavolo scrivo se non voglio che mi si conosca? La risposta, involuta, è quella di sempre e non mi fa onore: perché scrivere mi piace ma non voglio metterci la faccia.
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