E’ un percorso che non cessa di affascinarmi ad ogni lettura, l’Odissea. Altrove mi hanno già parlato Penelope ed Euriloco.
Credevano che cantassi per loro.
Fanno tutti così. Arrivano qui e l’atmosfera smarrisce loro i sensi, i miei lupi e i miei leoni li guardano con aria docile e loro sono subito preda dei miei incanti. La mia voce da sola basta per annebbiare il reale con la dolcezza di un chiaro miele immaginato. Entrano, scorgono la mia pelle bianca tra le pieghe degli abiti, osservano golosi una caviglia, un polso, il movimento di una spalla. Poi si fermano al volto e non sanno reggere il fulgore scoraggiante del mio sguardo, e allora accettano di bere quel che io offro loro, per guadagnare tempo, non per sete o gola. Allora sono perduti.
Devo stare attenta. Io sono sempre all’erta e dove non basta l’aria di Eéa, o un leone mansueto, o la presenza silenziosa di una ninfa, io non manco mai. La mia casa accoglie, io stessa spalanco le porte lucenti sulle sue delizie, sugli scranni dalle borchie d’argento, sulle stoffe accoglienti. Io stessa con arte immortale preparo bevande che promettono nuovo sangue e nuove energie e lasciano invece sospesi nell’oblìo. Alla perdita di sé io li conduco col vino di Pramno e i filtri oscuri; né io né loro abbiamo scelta. Come ultima risorsa, ho il mio corpo di eterna bellezza, levigato, che lascio intuire ma non sfiorare fino al momento estremo. Accolti nel mio letto e nel mio desiderio, gli uomini non sono mai tornati indietro.
Le mie ore trascorrono nell’attesa e nel timore che l’attesa finisca; la mia voce intona canti maliosi di donna celata dietro il telaio e parole funeste di dea terribile. Chi giunge qui non deve poter rimpiangere nulla e non deve poter raccontare più nulla, poi; troppo pericoloso è entrare nella storia per chi, come me, appartiene alla leggenda. Io non lascio ombre, alle mie spalle, ma ne creo a mio piacimento come gonfio i venti del mare perché spirino con vigore, io Circe dai molti filtri, dalle belle trecce. Chi penetra nella gloria della mia solitudine tocca con mano la tenebra che a volte alligna nel cuore della vita.
Temo l’arrivo del multiforme Odisseo, è presto detto. Mi difendo benché sappia perfettamente quanto sia inutile la difesa di fronte al destino, ma a volte si fanno cose di cui per istinto si conosce l’inutilità, e non cederò. Così li osservo tutti prima che giungano da me, facendo dondolare piano fra le dita la verga, avvertendo la fredda esaltazione del potere.
Saprò perdere con grazia, come si addice ad una dea, cedendo appena quanto necessario. Mangeranno carne, berranno il mio vino. Io svelerò la rotta che li condurrà alle porte dell’Erebo, insegnerò a Odisseo quali sacrifici compiere, come rivolgersi a Tiresia. Unici fra i mortali, vedranno giungere i morti, a frotte, come mulinelli di foglie grigie.
Poi Odisseo se ne andrà con i suoi compagni, e quanto dirà di me conterrà anche i miei segreti e le mie debolezze.
Credo tuttavia che quelle voci alimenteranno anche il timore di me e del mio mistero. Dopotutto non è facile, per un mortale, svellere le radici della magica pianta moly dai fiori bianchi come il latte. Altri che verranno non avranno l’aiuto degli dèi. La mia verga non verrà spezzata, la mia sapienza non mi abbandonerà…
Che venga, dunque.
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[…] Le altre voci dell’Odissea che onorano il mio giardino sono Penelope, Euriloco e Circe. […]
[…] ora, dopo Euriloco, Penelope, Circe e […]
[…] legione, gli uomini e le donne dell’Odissea dentro la mia testa. Euriloco, Penelope, Circe, Antinoo, Calypso, e ora […]
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