Provo nuovamente, dopo Raimondin, a mettermi dietro gli occhi dell’altro. L’embrione di questo tentativo risale a molti anni fa.
Io sono il crudele, il perfido; io sono l’assassino. Storpio, detestato e tradito, anche la storia mi ha condannato con un sorriso beffardo e uno sguardo d’orrore. Voi tutti, che percorrete curiosi i camminamenti di quella che fu la mia dimora, confessate che rabbrividite, confessatelo! quando vi si conduce nelle segrete, dove i ceppi pendono ancora dalle pareti, e lungo i corridoi, nelle stanze immobili…confessate che mi odiate, quando entrate nella camera che, vi dicono, fu di lei.
Voi non sapete quanto, a secoli di distanza, quell’odio e quel disprezzo mi gravino addosso. Perfino quell’idiota che chiamate “sommo poeta”, senza parere, mi ha marchiato a fuoco come un volgare delinquente, per l’eternità. Ipocrita! Sono sicuro che avrebbe agito esattamente come me, se si fosse trovato nella mia stessa situazione. E molti di voi avrebbero fatto lo stesso; quelli col sangue nelle vene, intendo.
Ora persino gli opuscoli illustrati mi descrivono come un individuo mostruoso. Nei dipinti io sono sempre l’uomo oscuro e deforme che tutti guardano per ultimo, quello che entra in scena scostando brutalmente una tenda e interrompendo il bacio perfetto. Io! Io ho semplicemente tentato di difendere quel ch’era mio! Lei era mia, l’unica persona che considerassi tale. Mia…questa parola mi riempiva la bocca, mi inebriava i pensieri, mi riscaldava i sensi come le rose e il vino e il suo nome – Francesca – mi risuonava nelle orecchie come la musica di un liuto d’oro.
Aveva paura di me, e potevo comprenderlo; orrore, e questo mi tormentava e mi faceva imbestialire. Zoppicavo furibondo, e lei era sempre più lontana.
Gradara…”Dall’aria gradevole”, questo il significato di Gradara; e bella era la mia terra, distesa fra le colline; dopo gli affari del governo, le beghe coi confinanti, i soldati e i cavalli sudati, Gradara! E voi, ora, non vi accorgete neppure di quanto io abbia voluto Gradara così, bella e assolata. Di me vedete solo le mani e il sangue che le copre. Riflettete: fu davvero crudeltà la mia? Miei erano l’autorità e il potere, e li usai. Voi, credetemi, avreste abbassato la testa timorosi davanti a me, allo Sciancato. Per ridere di me avreste atteso che io non vi vedessi, statene certi.
Certo non sono mai riuscito a impedire agli uomini di pensare e questo mi ha tormentato a lungo. La vostra opinione, di fatto, ancora mi tormenta.
Proprio non potete capire, vero? Ma immaginate, per una volta, immaginate una donna dagli occhi grandi e dai capelli di miele; una donna come tante, ma è la vostra. Attendete impazienti il momento di averla e, da lontano, pensate a lei con soddisfazione e tranquillità, nonostante tutto. E’ vostra: ve l’hanno data suo padre e il Vescovo di Rimini.
E poi, scoprire che il vostro amabile fratello minore assapora quegli occhi, quei capelli, quei sorrisi furtivi, quelle mani sottili…non credete che avreste perso anche voi la pace? Io ho maledetto le stelle e me stesso, prima ancora di loro. Ho maledetto il mio stesso sangue e il ventre di lei, che per me era sempre stato sterile come il mare d’inverno. Li ho maledetti e sono stato dannato per l’eternità.
Hanno poi sofferto veramente, come voi dite? Lei ebbe una morte dolce e rapida. Era una donna, e qualcosa ha trattenuto la mia mano. Non mi son più fatto domande, a proposito: confesso, ho avuto paura del mio stesso cuore.
Ma lui…come avrei potuto non farlo uccidere? Era mio fratello! Come non desiderare il suo sangue, e che lei lo vedesse? Fu giusto. Dite quel che vi pare, voi folle di visi grigi, ma lo rifarei oggi stesso.
Vi ripeto la domanda: hanno veramente sofferto? Per loro, le parole mio, mia hanno avuto un senso. Li ho uccisi senza sforzo – nessuno osò difenderli, allora – è vero. Ma per tutta la mia vita, per tutta la mia eterna dannazione, guardatemi! Io non ho mai posseduto nessuno, e nessuno ha potuto dirmi suo.
E adesso, odiatemi ancora, voialtri, se ne avete il coraggio.
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