Penso ultimamente, intensamente, alla semplificazione, intesa come riduzione di linee e di colori, come concentrazione, essenzialità del gesto. Ho pensato alla calligrafia cinese, squisita unità, quando ben riuscita, di tempo, atto e parola.
Una buona calligrafia richiede spesso pochi istanti per la realizzazione e infinito talento, infinita riflessione e costante pratica. E’, nero su bianco, la necessità oggettiva di quella parola e di quel gesto. E’ una semplificazione di linee che non implica rinunce e non provoca, al contempo, alcuna dispersione.
I colori, che mi incantano in natura, spesso mi disturbano quando riprodotti; in egual misura sono infastidita dai profumi in flacone, mentre l’odore del biancospino a fine inverno, o la magnolia a giugno, o gli aghi di pino caduti hanno un incanto immortale. In questo ho certamente dei limiti (vedere il mondo in bianco e nero, attendere il caprifoglio in certe sere mi sembrano una forma di monogamia: che sia legata, la mia visione dei colori e degli odori, alla mia visione dei sentimenti?).
Credo che la necessità di dover concentrare l’atto della scrittura, rispetto all’infinità dei momenti di riflessione (andando e tornando dal lavoro, attendendo al ragù, immersa nella vasca da bagno, prima di dormire e appena sveglia…) abbia un effetto esilarante duraturo e pervasivo. Spesso si scrivono in pochi minuti cose pensate per mesi e in qualche caso anni – e dovono trascorrere ancora molti mesi prima che si possa giudicare il risultato, se mai questo è possibile. La distillazione è un procedimento lungo e occorre essere molto attenti a che non venga escluso qualche elemento importante nel corso dell’elaborazione: se si perdesse un profumo? un sapore? un ricordo?
Nell’horror vacui che ci perseguita vedo, d’altro canto, un temibile invasore che, nonostante gli sforzi strenui per tenerlo oltre le soglie, filtra nella nostra visione e nella nostra capacità espressiva: un barocco malato, note sguaiate ne risultano. Uno degli slogan più frequenti che leggo e che ascolto in questi anni è l’importante è esagerare, dove si intende, suppongo, divertimento, emozioni che si incrociano a crearne di nuove… solo, io credo piuttosto che l’esagerazione non sia divertimento, è spreco piuttosto, un uso malaccorto e colpevole di persone, emozioni, pulsioni, momenti, parole.
Vada dunque per la semplificazione; sogno oggi una visione di linee pure…come diceva Gozzano, seppur in tutt’altro contesto? al modo che un lampo nel fosco disegna il profilo di un bosco coi minimi intrichi dei rami. Ricordo certe statue greche viste in gioventù ad Atene, i templi di Paestum, le porcellane cinesi a guscio d’uovo, il profilo della Dimora della Nebbia e della Pioggia a Chengde…ecco cosa conta davvero. Profili bianchi, linee contro il cielo, forme perfette in se stesse e nello spazio. Possibile che anche le parole possano raggiungere la stessa perfezione?
Sarebbe più semplice se si potessero scegliere consciamente i propri ricordi. Invece…invece il mondo stilla dentro di noi come pioggia da un lucernario del tetto, seguendo incrinature invisibili sui coppi più vecchi. I ricordi, le ansie, i desideri non sono quelli che vorremmo, spesso: chi di noi è lieto di provare invidia? Chi di ricordare con amore lancinante un abbraccio inaspettato durante un bagno al mare, il movimento accennante delle foglie del pitosforo sulle note di una canzone?
Tutti i ricordi che non sappiamo di avere rendono più impervia la semplificazione, annebbiano il nitore della visione. E’ misteriosa, l’essenza delle cose, non mutevole ma certo fuggitiva. Il che è quasi lo stesso, infine.
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